Ciao a tutti, mi chiamo Francesco e oggi cercherò di spiegare l’attuale situazione di parità tra uomini e donne in Italia, cioè il paese in cui vivo, che ha fatto molti progressi negli ultimi anni ma che ancora la trova difficile cambiare radicalmente il suo modo di pensare perché potrebbe influenzare in modo negativo gran parte del Paese.
In Italia
L’Italia è sempre stata un paese la cui mentalità tende molto più alla mascolinità che alla femminilità. La cultura italiana è fortemente caratterizzata (soprattutto nel sud del Paese) da alcuni elementi distintivi: una costante rigidità di modelli e contratti di genere; comportamenti demografici ancora un po’ “tradizionali” rispetto ad altri contesti europei; l’enfasi sulla qualità dell’assistenza intrafamiliare; un modello di protezione sociale basato, più di altri, sulla rigidità del sistema di genere, sull’obbligo morale della sussidiarietà familiare, sull’estensione indefinita dei legami economici tra le generazioni, sul ruolo delle reti femminili intergenerazionali considerate prime responsabili lavoro di cura. Come si può capire, la sopravvivenza di un tale sistema dipende dall’antitetica mascolinità e femminilità e dalle tradizionali relazioni di genere. Ma anche in Italia le tensioni e le sfide si sono moltiplicate e costituiscono ormai un denso orizzonte di eventi per il modello maschile egemonico, patriarcale e unidirezionale: si pensi al cambiamento delle identità di genere e dei percorsi di vita, soprattutto quello delle donne; i processi di ridefinizione radicale del mondo del lavoro (disoccupazione; lavori precari, irregolari, a basso reddito); la crescente complessità dei bisogni assistenziali; globalizzazione e secolarizzazione; l’incontro (a volte forzato) con nuove culture e nuove mascolinità (migranti, non eterosessuali, transgender, transessuali); al difficile ma necessario confronto con le genealogie maschili e con l’ingombrante passato misogino e maschilista; la sfida posta dalla crescente complessità dei ruoli paterni. Diventa quindi necessario iniziare a cambiare la mentalità che è rimasta pressoché immutata negli anni. La mascolinità ha punti di vista chiari che potrebbero influenzare la vita quotidiana in modo positivo, questi punti sono: competizione, ossessione per i risultati e il successo e questo sistema di valori inizia a scuola e continua nel comportamento organizzativo. L’Italia ha un punteggio di “mascolinità” di 70/100 (Hofstede Insights, 2023) Il trend in aumento del punteggio italiano ci dice quindi che il nostro Paese ha una cultura fortemente orientata al successo e alla motivazione. La competizione, in particolare, è vista come un elemento molto positivo. Fin dall’infanzia, infatti, ci viene insegnato il valore dell’eccellenza, salutando modelli di successo a volte anche artificiali o difficilmente riproducibili. Una bella macchina, una grande casa, una carriera di successo sono sempre stati per noi uno status symbol ricorrente e ambito. Oggi, in Italia, l’obiettivo è preparare le nuove generazioni di uomini a incontrare “nuove” donne e “nuovi” modelli di mascolinità. Si tratta di aprire una vasta gamma di strade per consentire a bambini, ragazzi e uomini di utilizzare uno spettro più ampio delle loro capacità emotive e comunicative: mostrare, in altre parole, che esiste una varietà di modi di essere un uomo, consentendo loro di sperimentare la propria specifica diversità. Parliamo soprattutto dei processi di riflessione (e prevenzione) sui lati oscuri della mascolinità: la violenza di genere; omofobia; i limiti imposti dalla mascolinità stereotipata nel confronto con le donne, i figli, le genealogie maschili, le “altre” mascolinità; il dialogo difficile, a volte inesistente, tra gli uomini e il proprio corpo. La ricostruzione, attraverso il dialogo e la comprensione reciproca, dello spartiacque storico tra maschio e femmina può avere effetti molto positivi. Per quanto riguarda le aziende, invece, vale la pena analizzare altri aspetti. Nelle aziende “maschili” c’è la tendenza a differenziare i “ruoli emotivi” di uomini e donne, mentre le aziende “femminili” sottolineano la necessità di parità.Nel complesso, le organizzazioni di cultura femminile non sono competitive come quelle di cultura maschile. Ci sono persone che cercano di evitare il conflitto e che, come abbiamo visto prima, si concentrano sugli aspetti più sociali piuttosto che su successo, realizzazione, status sociale e realtà quantificabili. In altre parole, nelle culture prettamente femminili, si tende a dare importanza alla qualità della vita, che potremmo definire “integrale”. Se invece ci chiediamo quale sia il sesso più appropriato per ricoprire la posizione di dirigente all’interno di un’azienda, è necessario prendere in considerazione diversi fattori, in primo luogo quello culturale che influenza quasi interamente i ruoli distributivi in un ambiente di lavoro. Nelle culture più femminili, il leader ideale (“manager hero”) è intuitivo e cerca consenso e collaborazione. Nelle culture più maschili, invece, è assertivo, sicuro di sé e aggressivo. Ciò si riflette anche nel concetto di leadership personale: si assume che gli individui appartenenti a una cultura femminile sviluppino un diverso insieme di strategie cognitive e comportamentali rispetto agli individui appartenenti a una cultura maschile e, in particolare, che il modo di pensare e di agire in primo luogo attribuisce maggiore importanza alle condizioni soggettive e orientate all’intuizione (come la cura, la realizzazione e le relazioni). In altre parole, sebbene entrambi possano essere interessati a migliorare le proprie prestazioni sul lavoro, gli individui di cultura maschile sono più propensi a praticare l’auto-direzione pensando a ricompense materiali, mentre gli individui di culture femminili prenderanno in considerazione principalmente la componente relazionale. Si pensi, ad esempio, a come le differenze culturali possano incidere sui processi di selezione, sull’idoneità alla leadership, sui sistemi di welfare e di valutazione delle performance, così come nuove politiche retributive o condizioni contrattuali che incidono su un equilibrio (si pensi alla conciliazione casa-lavoro) molto radicato nella il lavoratore. Ma quello che mi auguro possa migliorare nei prossimi anni è sicuramente l’educazione nelle scuole, dove il pudore e la necessità di mantenere la privacy portano ragazze e ragazzi a cercare all’esterno della famiglia risposte ai propri dubbi e curiosità. Sembra infatti che proprio le persone esterne alla famiglia (spesso gli amici, il gruppo dei coetanei) siano i “vettori” privilegiati di informazioni sulla sessualità, che però molto spesso risultano imprecise, distorte o comunque insufficienti. I giovani si avvicinano quindi alla scoperta della sessualità spesso senza preparazione e senza informazioni e si trovano a gestire da soli momenti cruciali del loro percorso di vita.
In Francia
In Francia, a differenza dell’Italia, c’è molta più parità tra uomini e donne, il che influisce positivamente su tutto il Paese, che ne vede i vantaggi (situazione politica a parte). Inoltre, stiamo cominciando a sfatare falsi miti ancora presenti in Italia e talvolta sostenuti dalle donne stesse, come il fatto che le donne non siano in grado di guidare o che siano più temerarie degli uomini. Tutto questo con uno studio che dimostra che in Francia 8 vittime di incidenti stradali su 10 (78%) sono uomini perché molti uomini imparano fin dall’infanzia che possono “difendere la loro virilità” guidando. Ecco perché una delle ultime campagne pubblicitarie sulla sicurezza stradale in Francia inizia con l’idea che la mascolinità tossica possa essere un fattore che contribuisce agli incidenti stradali allo stesso modo della velocità, dell’alcol, delle droghe e del sonno. Il video della campagna mostra i neo padri pochi minuti dopo la nascita dei loro figli, ritraendoli come premurosi e sensibili, in contrasto con l’esaltata “mascolinità” degli stereotipi maschili. La campagna dovrebbe incoraggiare gli uomini a esaminare il loro comportamento, senza voler stigmatizzarli o biasimarli. “Ciò non significa che tutti gli uomini siano cattivi guidatori: non sarebbe vero. Ma il numero di uomini che muoiono sulle strade è un problema serio. Ed è la società a mandare il messaggio che gli uomini devono guidare più veloci, cercare di “dominare ” la strada e correre più rischi. Molti uomini imparano fin dall’infanzia che guidando possono “difendere la loro virilità”. Ma non è tutto: l’idea che i ragazzi e gli uomini abbiano istintivamente molta familiarità con le auto può portare all’idea che gli uomini “sanno guidare”, e dare loro troppa sicurezza nelle situazioni pericolose. “Può sembrare che un uomo debba dimostrare a se stesso di avere il controllo di un veicolo, ad esempio accelerando o superando i limiti di velocità per dimostrare di essere un vero uomo. Basti pensare al numero di uomini che si risentono all’idea di essere sorpassato da un’altra macchina.